Home Attualità Antonella Santoro, ricercatrice San Raffaele Telethon: “La mia sfida contro il tumore”

Antonella Santoro, ricercatrice San Raffaele Telethon: “La mia sfida contro il tumore”

Una laurea in Biotecnologie all'Università di Bologna e un dottorato a Cambridge: l'intervista alla giovane scienziata di Ceglie Messapica

da Adele Galetta
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Un dottorato di ricerca all’Università di Cambridge grazie ad un borsa di studio portata a casa nel 2016. Un’esperienza che non dimenticherà mai, terminata nel dicembre del 2020 ed il ritorno a “casa” in Italia dove oggi lavora al Telethon Institute for Gene Therapy di Milano come ricercatrice. Grazie ad un finanziamento vinto da parte di un importante Ente europeo che sostiene i ricercatori in mobilità, per i prossimi due anni la sua ricerca sarà focalizzata a studiare i meccanismi di senescenza cellulare nel contesto della leucemia mieloide acuta e di come questi possano essere sfruttati per migliorare le difese immunitarie per eliminare il tumore. In questa intervista la giovanissima Antonella Santoro, di Ceglie Messapica – insignita del certificato di eccellenza per il prestigioso concorso Marie Curie-Slodowska Action della Commissione Europea –  ci racconta le sue giornate, della sua ricerca e della sua vita come ricercatrice, e dell’importanza del pieno accesso alle carriere scientifiche e tecnologiche per le donne. 

Cosa significa dedicarsi alla ricerca nell’ambito di determinate malattie? Mi occupo di ricerca di base e traslazionale. Questo significa che studio la biologia alla base della patologia, che è un fattore determinante per cercare nuovi farmaci. Solo conoscendo a fondo le caratteristiche ed il comportamento della malattia, infatti, si possono individuare e formulare specifiche terapie che siano efficaci. E così dalla ricerca di base, si passa alla ricerca traslazionale, mirata ad applicare le conoscenze acquisite, nell’ambito clinico. Dedicarsi a questo tipo di ricerca significa investire numerosi anni di studio nel laboratorio. Il lavoro dello scienziato parte di solito da un’osservazione. Ad esempio, nel mio campo i miei colleghi hanno scoperto che le cellule della leucemia mieloide acuta, un tumore delle cellule del sangue, vanno incontro ad un processo di invecchiamento a seguito della chemioterapia, che le rende visibili al sistema immunitario. Ora stiamo formulando le ipotesi sul perché e come ciò accada, che verificheremo tramite l’esecuzione di specifici esperimenti. Speriamo di poter sfruttare questa capacità delle cellule tumorali per rendere più efficaci le cure. Questo processo si ripete per lungo tempo, perché non sempre le ipotesi formulate si rivelano poi corrette. Bisogna quindi ricominciare da capo e formulare nuove ipotesi.

Perchè hai scelto questo lavoro? Sin dagli anni del liceo classico sono sempre stata interessata alle scienze della vita e naturali. Mi incuriosiva particolarmente la biologia delle cellule e, in generale, le biotecnologie, che iniziavano ormai a prendere piede in quegli anni. Fantasticavo sulla prospettiva di scoprire qualcosa di nuovo io stessa. E la decisione di studiare biotecnologie all’università è praticamente stata naturale. Con gli anni di studio, e poi con l’esperienza a Cambridge, questo interesse per la ricerca è cresciuto sempre più forte in me. Finora posso dire che non ho mai nutrito dubbi.

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Il momento più bello e il momento più brutto legati a questo lavoro? Imparo sempre qualcosa di nuovo, ogni giorno. Molto spesso però, quello che imparo è legato a qualcosa che è andato storto. A volte questo può diventare frustrante, perché servono davvero anni per riuscire a giungere a delle conclusioni  sensate. È questo penso sia un fattore critico per il lavoro da scienziato, che non deve mai perdere di vista il fine ultimo, la big picture, come si dice in inglese, cioè trovare la cura. Un altro aspetto difficile legato al lavoro da ricercatore è, purtroppo, l’incertezza della disponibilità di fondi e quindi di posti di lavoro stabili. Questo problema è presente in molti posti nel mondo, forse un po’ più accentuato in Italia. Se poi si considera il fattore differenza di genere, allora la cosa di complica ancora un po’. Le scienziate, come molte altre professioniste in altri campi delle scienze, devono fronteggiare un mondo dominato dal sesso maschile e si trovano spesso a fare scelte come il posticipare la maternità, a favore della carriera (perché altrimenti si rischia di diventare troppo grandi per aprire un proprio laboratorio, che in genere succede intorno ai 35-38 anni di età).

Lavorare nell’ambito della ricerca sulle malattie tumorali è una sfida quotidiana, che a volte si vince, e a volte si perde. Quanto è importante supportare la ricerca clinica? Il supporto alla ricerca è fondamentale. Senza la disponibilità di fondi e risorse è impossibile fare il nostro lavoro. Le tecnologie disponibili aumentano e avanzano sempre di più, ed abbiamo oggi la possibilità di studiare qualsiasi aspetto della biologia del cancro con un livello di risoluzione altissimo. Il che è fondamentale per avanzare non solo la conoscenza, ma anche la possibilità di trovare nuove cure. Io oggi lavoro in un istituto, San Raffaele Telethon per la terapia genica, che beneficia della generosità e della fiducia delle persone “normali”, che credono, come la fondazione stessa, nella cura possibile per pazienti affetti da malattie rare. Noi scienziati siamo eternamente grati per questo. Tuttavia, è assolutamente necessario che le istituzioni garantiscano più fondi per la ricerca, al fine di rendere l’Italia un posto eccellente dove fare ricerca e risolvere i problemi dell’umanità, in tutti i campi.

A chi vorrebbe intraprendere questo percorso cosa consigli? Sembrerà controintuitivo ma io suggerisco a tutti i giovani aspiranti ricercatori di fare assolutamente un’esperienza all’estero. Non per fuggire dall’Italia, ma per arricchirsi di esperienze e aprire la mente al mondo. Nel nostro campo poi è importante fare questo tipo di esperienze e creare una rete di contatti con altri colleghi scienziati intorno al mondo, perché in fondo la ricerca è condivisione. Bisogna andare per avere la voglia di ritornare con un bagaglio incredibile e con la voglia di far parte del cambiamento. Io poi, non avevo alcuna aspettativa verso me stessa, e la possibilità di arrivare a Cambridge era per me assolutamente impensabile. Quindi un altro suggerimento è di non lasciarsi intimidire e puntare sempre al massimo.

Progetti futuri? Tante idee per il futuro, per ora mi sto focalizzando sul percorso nel laboratorio della dottoressa Raffaella di Micco. Poi si vedrà. Mi sto interessando molto anche alla divulgazione scientifica, un aspetto del mio lavoro che ho molto a cuore.

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