CEGLIE MESSAPICA – Sguardo autorevole, che guarda dritto negli occhi, un bel viso acqua e sapone ed un cuore tenero: si racconta con sorriso aperto e parole precise Andrea Gioia, 19enne di Ceglie Messapica, studente alla facoltà di “Economia e finanza” all’Università del Salento e giovanissimo arbitro di calcio, di fresca nomina nella categoria “Eccellenza”, con una grandissima passione per questo sport e il sogno di arrivare in Serie A.
Quando e come è arrivata nella sua vita la passione per il calcio? E’ una passione che mi accompagna fin da piccolo perché ho vissuto in una famiglia appassionatissima di calcio. Mio padre mi portava sempre allo stadio, a Bari, a Lecce a vedere le partite. Diciamo che ho sempre ‘respirato’ il calcio. E l’idea di diventare arbitro? Quella passione per il calcio ha ispirato, inevitabilmente, la scelta di fare l’arbitro. Non sono mai stato bravo a giocare a calcio ma volevo essere sul campo a tutti i costi e devo dire, anche, grazie ad un professore di Informatica incontrato durante le scuole superiori se a 15 anni ho intrapreso questa strada. Quando è avvenuto il tuo debutto da arbitro e cosa ricordi di quel giorno? E’ stato il 29 marzo 2019, una partita tra Ostuni e Carovigno e quel giorno è impresso nella memoria perché ha rappresentato la svolta: per la prima volta indossavo la mia seconda pelle, la divisa da arbitro, quella che alla fine mi contraddistingue e che porto tutti i giorni anche quando non sono in veste ufficiale. Quando diventi arbitro hai delle consapevolezza di seguire principi sani e doveri da portare avanti anche nella vita quotidiana.
Ci sono stati episodi in cui giovani arbitri hanno subito violenze verbali e fisiche da parte di tifosi ma anche di allenatori e giocatori. Qual è il tuo pensiero in merito? A me personalmente non è mai accaduto ma, purtroppo, se ne sente parlare troppo spesso, tanto di violenze verbali e fisiche nei confronti degli arbitri che nei confronti dei giocatori. Il calcio deve essere vissuto come mezzo di divertimento, di svago, anche per noi che comunque facciamo tanti sacrifici, sacrifichiamo la famiglia, gli amici pur di andare in campo la domenica e fa male dover subire atti di violenza. A quale arbitro nazionale o internazionale ti ispiri? E perché? Senza dubbi l’internazionale Marco Di Bello, per il suo approccio con la gara, per come cerca il dialogo sia con i giocatori che con i dirigenti. Sarebbe un sogno diventare un giorno come lui. Quale partita ti piacerebbe arbitrare in futuro? Arbitrare una partita di serie A credo sia il sogno di ogni arbitro. Adesso è un obiettivo troppo lungo per un ragazzo come me che, invece, si prefigge obiettivi nel breve periodo. Spero comunque un giorno di arrivare ad arbitrare una partita di Serie A e magari il derby di Milano.
Che messaggio vuoi mandare ai giovani che vogliono intraprendere questo percorso? Sicuramente di intraprendere questa strada perché l’Aia (Associazione Italiana Arbitri) è una famiglia dove trovare persone che ti formano, dentro e fuori. La verità è che si diventa uomini, prende forma la personalità e il carattere perché sai che dovrai prendere decisioni importanti e non facili durante le partite che andrai ad arbitrare. Che persona sei fuori dal campo? Sono l’Andrea che si vede, un ragazzo severo ma diplomatico, preciso a cui piace tantissimo scherzare. Sono un giocherellone, amo il divertimento ma quello sano. Sono una persona socievole con tutti.
